Cenni storici sul druidismo
Quando è nato il druidismo? Difficile dirlo con precisione.
Ancora oggi c’è chi crede che il druidismo esistesse al tempo in cui vennero eretti i monumenti megalitici (Dolmen, Menhir, Cromlech), ma questo non sembra possibile dato che questi monumenti furono eretti tra il 4000 ed il 2000 a.C. mentre i Celti apparvero in Europa verso la fine dell’Età del Bronzo, tra il 900 ed il 700 a.C. per consolidare la loro presenza intorno al 500 - 400 a.C.
E i druidi erano Celti.
Vero è però anche il fatto che probabilmente i druidi sfruttarono in qualche modo, per determinate cerimonie, questi luoghi di potere pre-esistenti nelle zone in cui si stanziò il loro popolo. Del resto gli stessi Romani, dal I secolo d.C. circa, eressero chiese nei luoghi di culto celtici.
Celti e Germani sono entrambi di tradizione indo-europea e provengono dallo stesso ceppo primitivo. E i Celti, in un primo tempo più evoluti dei Germani, hanno contribuito alla costituzione sociale del gruppo germanico. Anche a livello cosmologico possiamo dire che la mitologia celtica e quella scandinava offrono numerosi punti di convergenza. Per questi motivi, parlando di druidismo, in questo libro, oltre a quelle propriamente celtiche, non potremo non tenere almeno in considerazione anche le tradizioni scandinave.
Ma procediamo con ordine, in modo da estrapolare differenze e convergenze fra questi due popoli e cercare di farci un’idea omogenea della vita nel Nord Europa tra l’Età della Pietra e i primi secoli d.C.
Tra il 3000 ed il 1500 a.C. (Bassa Età della Pietra) la Scandinavia subì due ondate indoeuropee che vi portarono l’agricoltura e l’allevamento, così come anche il commercio di selce, ambra e pietra levigata.
Dal 1500 al 400 a.C. (Età del Bronzo) si cominciò a costituire una comunità nordico-germanica che comprendeva la Scandinavia, la Germania settentrionale, il Baltico e una parte della Polonia.
Dal 500 - 400 a.C. (inizio dell’Età del Ferro) i Celti si insediarono fra il mondo norreno-germanico e quello mediterraneo, diffondendo l’orzo e l’avena, nonché il concetto di proprietà privata che verrà poi assorbito dalla Scandinavia.
Le popolazioni scandinave (che dall’VIII secolo in poi assunsero il nome di Vichinghi), tra il 3000 a.C. ed i primi secoli del primo millennio, abitavano territori per certi versi ostili, sicuramente molto freddi e con poche risorse. Per questo, col tempo, si aprirono una strada per la sopravvivenza attraverso il mare.
Inizialmente quindi dovevano essere un popolo dedito soprattutto ad agricoltura e allevamento, nonostante la terra avesse poco da offrire rispetto a quella occupata dai Celti, ma in seguito dovettero espandersi a causa di una serie di motivi. Primo fra tutti probabilmente la sovrappopolazione (che soprattutto dall’VIII secolo d. C. aumentò in modo esponenziale). Ma furono anche altri i fattori che già nei secoli precedenti all’VIII avevano cominciato a preparare il terreno per l’espansione vichinga.
La legge dei Vichinghi permetteva soltanto al primogenito di avere accesso all’eredità di un defunto, così gli eventuali altri figli del defunto dovevano cercare fortuna altrove. L’animo stesso degli scandinavi era caratterizzato da una grande curiosità e voglia di mettersi alla prova, andando alla scoperta di nuove terre e alla ricerca di nuove avventure.
Altre cause minori furono l’esilio di coloro dichiarati fuorilegge (utlagi) e condannati pertanto a vagare come lupi erranti. Questi quindi spesso sceglievano di imbarcarsi. Stessa cosa accadeva per coloro che, verso il IX-X secolo, non accettavano il potere centrale dei Paesi unificati di Svezia e Danimarca.
I Vichinghi avevano una serie di divinità con ruoli molto simili a quelle dei Celti, ma adoravano principalmente Odino (o Wotan), dio della visione, dell’ispirazione poetica, della profezia, della guerra e della vittoria, sposo di Frigg, signora del cielo, associata principalmente alla maternità.
Quindi potremmo dire che si trattasse di un culto principalmente patriarcale, a differenza, come vedremo, di quello matriarcale dei Celti.
Essendo un popolo di guerrieri navigatori, i Vichinghi avevano la necessità di conoscere il cielo per potersi orientare: l’alternarsi del Sole e della Luna, come anche la posizione della stella polare. Si dice che, nei giorni di nebbia, osservassero il cielo attraverso dei frammenti di calcite che riusciva a polarizzare la luce. Ma degli studi astronomici dei Vichinghi non ci sono pervenute testimonianze scritte.
I Celti, stanziatisi tra l’Irlanda, la Bretagna e l’Europa Centrale, vivevano principalmente di coltivazione e allevamento. Ciò non vuol dire che non fossero anche guerrieri, ma la terra era la loro principale fonte di sostentamento; per questo motivo la divinità principale era la Madre Terra, la Dea, detta Danu, Anu, Don o Dona, secondo le diverse tribù. L’unione della Dea con il Dio Cernunnos, divinità associata alla natura, agli animali e alla fecondità, era in fondo anche la rappresentazione del legame fra popolo e terreno fertile.
Possiamo parlare dunque di un culto principalmente matriarcale.
Nella coltivazione, la conoscenza del moto del Sole e della Luna era fondamentale per determinare variazioni climatiche stagionali e avere un buon raccolto, e Cesare si accorse che i druidi erano anche dei validi astronomi e addestravano i giovani aspiranti a memorizzare la posizione delle stelle e i movimenti dei pianeti. Ma non tramandarono nulla di scritto sulle questioni del cielo, quindi non ci è pervenuto quasi nulla dei loro studi del cosmo.
Nei Commentarii Cesare scrive: essi non ritengono lecito scrivere i loro sacri precetti; invece per gli affari, sia pubblici che privati usano l’alfabeto greco. Mi sembra che due siano le ragioni per cui essi evitano la scrittura: prima di tutto perché non vogliono che le norme che regolano la loro organizzazione siano risapute dal volgo, poi perché i loro discepoli non le studino con minore diligenza.
A Coligny sono stati però rinvenuti dei frammenti di una tavola di bronzo risalenti al II secolo d.C. a testimonianza dei loro studi sui moti del Sole e della Luna. Sulla tavola vi sono annotati in sequenza i giorni dell’anno suddivisi in 12 mesi secondo il ciclo delle fasi lunari.
Giulio Cesare (Roma, 13 luglio 101 a.C. o 12 luglio 100 a.C. – Roma, 15 marzo 44 a.C.) e Strabone (Amasea, ante 60 a.C. – Amasea, tra il 21 e il 24 d.C.) asserisserivano che i Galli avessero una casta sacerdotale divisa in tre gruppi (vati, bardi e druidi). Strabone, in “Geografica”, scrive: Tra le genti galliche, ci sono tre categorie di persone che vengono onorate in modo particolare: i bardi, i vati e i druidi. I bardi sono cantori e poeti; i vati sono divinatori e filosofi della natura; mentre i druidi studiano contemporaneamente la filosofia della natura e quella morale. I druidi sono considerati i più giusti fra gli uomini e per questa ragione si ricorre a loro sia per dispute private, sia per problemi della comunità. Anticamente, arbitravano persino i casi di guerra, e facevano fermare i contendenti quando già stavano per ingaggiare battaglia. Si occupavano in particolare di casi di omicidio, che venivano portati di fronte a loro per essere giudicati.
Certo è che i druidi tramandassero i propri insegnamenti ai giovani, e pare che tutti i druidi facessero riferimento ad un druido “capo” (Nel De Bello Gallico Cesare scrive: Tutti i druidi obbediscono ad un unico capo che ha su di loro la più alta autorità. Quando costui muore, gli succede chi eccelle tra gli altri per dignità), ma a parte questo, in realtà possiamo dire che le popolazioni che abitavano il Nord Europa in epoca precristiana non possedessero caste sacerdotali come potremmo immaginarle oggi. Più che altro si trattava di una divisione dei ruoli. A mio parere, nelle singole tribù non esistevano vere e proprie gerarchie religiose, né fra i Celti, né fra i Vichinghi. Forse, più che altro, si potrebbe parlare di gerarchie “sapienziali”.
Tra i Celti, i vati si occupavano di divinazione e filosofia naturale, i bardi cantavano le gesta degli dei, ma il druido era ritenuto in grado di “viaggiare fra i mondi” e comunicare con gli spiriti. Ognuno aveva un ruolo, ma ho sempre pensato che la gerarchizzazione non fosse così netta come si tende a credere.
Diodoro Siculo (90 a. C. - 27 a.C.), in Bibliotheca V, 31, 2-5, scrive: Presso di loro vi sono anche poeti lirici denominati bardi. Costoro accompagnano, con strumenti simili alla lira, i loro canti, sia inni sia satire. Vi sono anche filosofi e teologi, ai quali sono resi i più grandi onori: si chiamano druidi. Inoltre si servono di indovini, cui accordano grande autorità.
E possiamo anche dire che fra le popolazioni del Nord Europa non esistesse neanche una vera e propria “religione”, non come la si potrebbe intendere oggi. Non v’era cioè un culto strutturato da dogmi, né un’organizzazione religiosa che avesse potere temporale, sebbene il parere dei druidi fosse tenuto in gran considerazione da tutti, anche dai sovrani. Vigeva semplicemente un culto costituito da una serie di usi e credenze osservati con grande naturalezza e rispetto da tutti.
Da una tribù all’altra poteva variare il nome di questa o quella entità, ma una credenza generale accomunava fra loro tutte le popolazioni dell’epoca precristiana. Del resto si trattava di un culto naturale che si rifaceva al paesaggio e agli eventi atmosferici.
Nel periodo più antico dei popoli indoeuropei il Sole e la Luna erano le divinità essenziali ai quali si aggiunsero in seguito il fuoco, il temporale ecc.
Proprio per questo motivo direi che l’esperienza spirituale delle tribù primitive era pratica e diretta tanto per il druido, quanto per il contadino o il guerriero. C’era un riscontro pratico immediato e tangibile per chiunque: tutti potevano partecipare della presenza del divino ascoltando il vento tra le fronde, ballando intorno al fuoco, bagnandosi con la pioggia che irrigava i campi o coltivando la terra, essendo, tutti questi elementi, vive rappresentazioni della Madre Terra e dello Spirito che permea tutte le cose.
Immagina come doveva essere la vita in quei tempi ed in quei luoghi. Una tribù era costituita da diversi clan (famiglie), governati da un capo (nominato “Rix”, ovvero “Re” fra i Celti, e “Jarl” fra i Vichinghi). I villaggi sorgevano totalmente immersi nella natura ed erano costituiti da una grande casa centrale per il capo (Rix o Jarl) dei clan, e altre case più piccole, di una sola stanza, tutte intorno fatte di giunchi, legno e terra, con un foro nel pavimento per le provviste ed un’apertura sul soffitto per fare uscire il fumo del focolare. Una palizzata in legno come difesa e campi coltivati appena oltre le case.
Il tempo era scandito dal Sole e dalla Luna e dalle stagioni.
L’inverno era tempo di semina e riflessione, l’estate era dedicata al raccolto, all’allevamento, alla costruzione di nuovi edifici, al disboscamento per ottenere nuovi campi da coltivare o alle battaglie.
Sia i Celti che i Teutoni (o Vichinghi) dovevano avere un fisico possente e capelli e carnagione chiara.
Diodoro Siculo (90 a.C. - 27 a.C.) a proposito dei Celti scrive: Hanno un fisico possente, carne soda e chiara, capelli biondi o rossi, che schiariscono artificialmente, lavandoli con acqua e calce e che poi tirano indietro dalla fronte alla testa fin sulla nuca. Assomigliano così a Pan o a dei Satiri, coi capelli spessi come criniere di cavallo. Alcuni si radono la barba, altri la lasciano moderatamente crescere; i nobili hanno le guance nude ma si lasciano crescere dei baffi così lunghi e pendenti che coprono la bocca. [...]
È probabile però che si fosse sviluppato un secondo ceppo di Celti di bassa statura con capelli e occhi scuri, cosa che non sembra essere avvenuta fra i Teutoni.
La lingua del Nord Europa, pur provenendo dallo stesso ceppo ariano, differiva molto fra le tribù celtiche e quelle teutoniche.
Ci sono anche studi sulla conformazione del cranio che sembrerebbe variare fra le due popolazioni, ma credo che non si possano raggiungere conclusioni soddisfacenti dallo studio di alcune centinaia di teschi rinvenute in quei territori. Ad ogni modo, sembrerebbe che il popolo di razza celtica avesse in sé diverse etnie, essendosi mescolato con molti altri popoli. Questo spiegherebbe anche il ceppo di celti di bassa statura e scuri di capelli.
Dal 750 a. C. circa fino ai primi secoli del primo millennio, i popoli del Nord Europa si diffusero in tutta l’Europa centrale, arrivando in certi casi a spingersi fino in Italia e nel Mediterraneo, quando, nel 480 a. C. si unirono ai Cartaginesi nella battaglia di Imera contro i Greci, o quando nel 369-368 a.C. si aggregarono alla spedizione Siracusana in Grecia, o nel 307 a.C. più di tremila guerrieri si unirono ad Agatocle di Siracusa, ai Sanniti e agli Etruschi per combattere nell’Africa del Nord.
E alcuni elementi rinvenuti nelle tombe celtiche di quelle popolazioni che si trovavano fra la Boemia e la Francia, confermano l’influenza mediterranea nella loro tradizione, in quanto sarebbero stati rinvenuti utensili e altri oggetti costituiti da materiali di importazione o costruiti secondo tecniche proprie dell’Italia o di altri Paesi del Mediterraneo.
In questo libro prenderemo in esame le credenze pre-cristiane dei popoli Nord-europei completandone le parti mancanti con il risultato degli studi esoterici odierni, ma voglio comunque terminare questa premessa storica dicendo che l’avvento del Cristianesimo (iniziato nell’arco del I secolo d.C.) non ebbe grandi opposizioni in determinate zone del Nord Europa per il semplice fatto che i Celti avevano una spiritualità libera e molto aperta che li portò ad accettare il Dio cristiano come un Dio che poteva aggiungersi alle proprie credenze. I Celti dunque non videro inizialmente l’avvento del Cristianesimo come l’imposizione di un nuovo credo, ma semplicemente come la possibilità di “implementare” un nuovo Dio.
[© Giuseppe Mirisola, "Druidi. Il Culto del Sole e della Luna", Lanterna Magica Edizioni]